Le Mille e Una Notte Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato.
Le Mille e Una Notte Storia dell'Uomo addormentato ridestato [Parte prima] Le Mille e Una Notte Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato [Seconda parte] Le mille e una notte Storia dell'Uomo addormentato ridestato [Terza parte] Le Mille e Una Notte Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato [Quarta parte] Le Mille e Una Notte Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato [Quinta parte] Le Mille e una notte nell'enciclopedia Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato Storia del Primo Monaco e Storia del Secondo Monaco Storia dell'Invidioso e dell'Invidiato Raccolta di novelle e fiabe della Letteratura Araba Le mille e una notte - Introduzione Le avventure del Califfo Harun Ar Rashid Storia del Barbiere e Storia del Primo Fratello Gobbo Storia del Fratello dalle Labbra Tagliate Storia del Medico Ebreo e la Storia del Giovane di Mossul Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari Banu Storia del Principe Qamar Az Zaman Storia del Principe Zeyn Al-Asnam e del Re dei Geni Storia del Quarto Fratello Guercio e Storia del Quinto Fratello dalle orecchie tagliate Storia del Sarto e Storia del Giovane Zoppo Storia del Secondo Fratello Sdentato e Storia del Terzo Fratello Cieco Storia del Sovrintende e Storia dell'Invitato Storia della Principessa Giulnar La Marina Storia D'Ali Cogia Mercante di Bagdad Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato Storia di Aladino e Della Lampada Meravigliosa Storia di Ali Babà e dei quaranta ladroni sterminati da una schiava Storia di Ali Ibn Bakkar e di Shams An Nahar Storia di Badr principe di Persia e della principessa Giawhara figlia del Re As Samandal Storia di Codadad e dei suoi fratelli Storia di Ghanim lo schiavo d'amore Storia di Nur Ed Din e della bella persiana Storia di Sindibad il marinaio I Grandi Classici Cultura Didattica Educazione I Grandi Classici - Le Mille e Una Notte Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato [Parte seconda] ... continua dalla parte prima Allora Masrùr, capo degli eunuchi, entrò, e dopo essersi prostrato profondamente alla presenza di Abu-Hassàn, gli disse: "Gran principe dei credenti, la maestà vostra mi permetterà di farle notare, che ella non è solita alzarsi ad ora tanto tarda, e che ha lasciato passare l'ora della preghiera. Forse ha trascorso una cattiva notte, o è indisposta. Ormai le resta appena il tempo di salire sul trono per tenere il consiglio, e farsi vedere secondo il solito. I generali, i governatori delle sue province, e i grandi ufficiali della sua corte sospirano il momento in cui la porta della sala del consiglio sarà loro aperta". Al discorso di Masrùr, Abu-Hassàn si persuase che non dormiva, e che lo stato in cui si trovava non era un sogno. Peraltro era molto imbarazzato e confuso, non sapendo che fare. Guardò fissamente negli occhi Masrùr, e con voce seria gli chiese: "A chi dunque credete di parlare, e chi è che chiamate gran principe dei credenti, voi che io non conosco? Certamente mi prendete per un altro". Chiunque altro, fuorché Masrùr, sarebbe stato sconcertato dalla domanda di Abu-Hassàn: ma lui, istruito dal califfo, rappresentò meravigliosamente bene la sua parte. "Mio riverito signore e padrone!", esclamò, "la maestà vostra mi parla forse così per mettermi alla prova? Voi siete il gran principe dei credenti, il monarca del mondo dall'oriente all'occidente, ed il vicario sopra la terra del profeta, spedito dal cielo, padrone di questo mondo celeste e terrestre! Masrùr, vostro infimo schiavo, non lo ha mai dimenticato, dopo tanti anni che ha l'onore e la buona sorte di prestare i suoi omaggi e le sue virtù alla maestà vostra. Egli sarebbe il più infelice degli uomini se fosse incorso nella vostra ira, e umilissimamente vi supplica di avere la bontà di rassicurarlo." Abu-Hassàn a queste parole di Masrùr proruppe in un grande scoppio di risa, e si lasciò ricadere sul cuscino, con gran giubilo del califfo, che avrebbe riso nello stesso modo se non avesse temuto di porre fine alla scena, che era invece appena cominciata e che voleva godersi. Abu-Hassàn, dopo aver riso a lungo, si mise di nuovo a sedere, e voltandosi a un piccolo eunuco moro come Masrùr, gli disse: "Ascolta, dimmi chi sono?" "Signore", rispose il piccolo eunuco con aria rispettosa, "la maestà vostra è il gran principe dei credenti, e il vicario in terra del padrone dei due mondi!" "Tu sei un bugiardo, faccia dipinta!", ripigliò Abu-Hassàn. Chiamò poi una dama, che gli stava più vicina delle altre: "Avvicinatevi, bella signora", le disse, porgendole la mano, "vi prego di mordermi la punta del dito, per rendermi conto se dormo o son desto". La dama, che sapeva che il califfo era spettatore di quanto avveniva nella camera, fu molto contenta di avere l'occasione di mostrargli quanto fosse brava, allorché si doveva divertirlo. Si avvicinò dunque ad Abu-Hassàn con tutta la serietà possibile, e stringendo leggermente tra i denti la punta del dito che egli le tendeva, gli fece sentire un po' di dolore. Ritirando prontamente la mano, Abu-Hassàn esclamò: "Non dormo, no, certamente non dormo! Per quale miracolo sono dunque diventato califfo in una notte? Questa è la cosa più meravigliosa e sorprendente del mondo!". Voltandosi poi alla stessa dama, le disse: "Non nascondetemi la verità, ve ne scongiuro, che Maometto vi protegga. E' proprio vero che sono il gran principe dei credenti?". "La maestà vostra è", rispose la dama, "il gran principe dei credenti; ciò è tanto vero che noi tutte quante siamo qui vostre schiave, siamo assai stupite che voi vogliate far credere di non esserlo." "Siete una bugiarda", riprese Abu-Hassàn, "lo so ben io quello che sono." Quando il capo degli eunuchi s'accorse che Abu-Hassàn voleva alzarsi, gli porse la mano e lo aiutò ad uscire dal letto. Appena fu in piedi, la camera risuonò del saluto che tutti gli ufficiali e le dame gli fecero in coro, acclamandolo con queste parole: "Gran principe dei credenti, il cielo benigno conceda un giorno fortunato alla maestà vostra!". "Ah cielo, che meraviglia!", esclamò allora Abu-Hassàn, "ieri sera ero Abu-Hassàn, e stamattina sono il gran principe dei credenti! Non ci capisco nulla in un cambiamento tanto repentino e sorprendente." Gli ufficiali destinati a questo compito lo vestirono con sollecitudine, e quando ebbero terminato, gli altri ufficiali, gli eunuchi e le dame si disposero in due file fino alla porta per la quale doveva entrare nella camera del consiglio. Masrùr camminò avanti e Abu-Hassàn gli tenne dietro. Sollevata la tenda e aperta la porta da un usciere, Masrùr entrò nella camera del consiglio e camminò ancora davanti a lui fino ai piedi del trono, dove si fermò per aiutarlo a salire, sorreggendolo sotto un'ascella, mentre un altro ufficiale, che lo seguiva, lo aiutava ugualmente dall'altra parte. Abu-Hassàn si sedette tra le acclamazioni degli uscieri, che gli auguravano ogni sorta di felicità e prosperità, e volgendosi ora a destra ora a sinistra vide gli ufficiali delle guardie disposti in bell'ordine e con atteggiamento deferente. Il califfo era uscito dalla stanza dove stava nascosto, quando Abu-Hassàn era entrato nella camera del consiglio, ed era passato in un'altra stanza che si affacciava sulla sala, per cui poteva vedere ed udire quanto avveniva nel consiglio, come era solito fare, quando il suo gran visir presiedeva in vece sua, perché qualche motivo gli impediva di assistervi personalmente. Ciò che da principio gli piacque di più, fu di vedere che Abu-Hassàn si teneva sul trono con molta gravità. Non appena Abu-Hassàn si fu seduto al suo posto, il gran visir Giàafar, che giungeva in quel momento, si prostrò davanti a lui ai piedi del trono, poi si rialzò e guardandolo: "Gran principe dei credenti", disse, "il cielo ricolmi la maestà vostra dei suoi favori in questa vita, la riceva nel suo paradiso nell'altra, e precipiti i suoi nemici nelle fiamme dell'inferno!". Abu-Hassàn, dopo quanto gli era accaduto, da quando si era svegliato, e da quanto aveva udito dalla bocca del gran visir, non dubitò più di essere il califfo, come aveva desiderato. E, senza più domandarsi come ciò potesse essere accaduto, o per quale motivo gli fosse capitato un cambiamento di fortuna tanto inaspettato, decise subito di esercitarne il potere: cosicché chiese al gran visir, guardandolo con gravità, se avesse qualche cosa da dirgli. "Gran principe dei credenti", ripigliò il gran visir, "gli emiri, i visir e gli altri ufficiali, che prendono parte al consiglio di vostra maestà, sono alla porta e sospirano il momento di poter presentare i loro soliti omaggi." Abu-Hassàn ordinò subito che venisse loro aperta la porta, e il gran visir, rivolgendosi al capo degli uscieri, disse: "Il gran principe dei credenti comanda che eseguiate il vostro dovere!". La porta fu aperta e nello stesso tempo i visir, gli emiri ed i principali ufficiali della corte, tutti in abiti magnifici da cerimonia, entrarono in bell'ordine, inoltrandosi fino ai piedi del trono, per presentare i loro omaggi ad Abu-Hassàn, ognuno, come richiedeva il suo grado, col ginocchio a terra e la fronte sul tappeto, e col rispetto dovuto alla persona stessa del califfo. Lo salutarono, dandogli il titolo di gran principe dei credenti secondo gli ordini che aveva loro impartiti il gran visir. Terminata la cerimonia, ciascuno prese posto e tutti se ne stettero in gran silenzio. Il gran visir allora, sempre in piedi davanti al trono, cominciò la relazione su molti affari, secondo l'ordine dei documenti che teneva tra le mani. Gli affari erano di ordinaria amministrazione e di poca importanza, ma anche così Abu-Hassàn suscitò l'ammirazione perfino del califfo: non solo non si mostrò inetto, ma neppure parve imbarazzato. Giudicò saggiamente su tutto, secondo quanto il buon senso gli suggeriva, sia che si trattasse di concedere, o di negare quanto gli veniva chiesto. Prima che il gran visir avesse terminata la sua esposizione, Abu-Hassàn vide il luogotenente di polizia, che egli conosceva di vista, seduto al suo posto. "Aspettate un momento", disse allora al gran visir interrompendolo, "ho un ordine che mi preme da dare al luogotenente di polizia." Il luogotenente, che teneva gli occhi fissi su Abu-Hassàn e che si accorse che guardava lui in particolare, udendosi chiamare per nome, si alzò dal suo posto, e con gravità si avvicinò al trono, davanti al quale si prostrò con la faccia a terra: "Luogotenente", gli disse Abu-Hassàn, dopo che egli si fu rialzato, "andate subito, e senza perdere tempo, nel quartiere tale, nella strada tale", e glieli indicò. "C'è in quella strada una moschea dove troverete l'imàm, e quattro vecchi dalla barba bianca. Prendeteli, e fate dare a ognuno dei quattro vecchi cento colpi con nerbi di bue, e quattrocento all'imàm. Poi li farete salire tutti sopra dei cammelli, vestiti di cenci, e con la faccia voltata verso la coda del cammello. In questa guisa li farete condurre attraverso tutti i quartieri della città preceduti da un banditore, che ad alta voce griderà: "Così si castigano quelli che s'impicciano degli affari altrui, e non hanno altra occupazione se non quella di seminare la discordia nelle famiglie dei loro vicini, cagionando a questi il maggior male che possono". Voglio inoltre che ingiungiate loro di cambiare quartiere con la proibizione di rimettere mai più piede in quello dal quale sono stati scacciati. Mentre i vostri ufficiali faranno loro fare questa passeggiata, tornerete a rendermi conto dell'esecuzione dei miei ordini". Il luogotenente di polizia si pose la mano sopra il capo per dimostrare che avrebbe eseguito l'ordine avuto, sotto pena di ricevere egli stesso un simile castigo se vi mancava. Si prostrò una seconda volta davanti al trono, e, dopo essersi rialzato, se ne andò. Quest'ordine, emanato con tanta fermezza, fece al califfo un grandissimo piacere perché vide che non si lasciava sfuggire l'occasione per castigare l'imàm e i vecchi del suo quartiere, giacché la prima cosa alla quale aveva pensato vedendosi califfo, era stata quella di farli castigare. Il gran visir intanto continuò a esporre la sua relazione, e stava per terminarla, quando il luogotenente di polizia, essendo ritornato, si presentò per render conto della sua missione. Accostandosi al trono, dopo la solita cerimonia dell'inchino, disse ad Abu-Hassàn: "Gran principe dei credenti, ho trovato l'imàm ed i quattro vecchi nella moschea, che la maestà vostra mi ha indicato, ed a prova del fatto che ho fedelmente adempiuto all'ordine che avevo ricevuto da vostra maestà, eccovi il verbale firmato da molti testimoni tra i cittadini più importanti del quartiere". Mentre parlava, cavò un foglio dalla tasca e lo presentò al presunto califfo. Abu-Hassàn prese il verbale, lo lesse, fino ai nomi dei testimoni, che erano tutte persone a lui ben note, e, terminato che ebbe, disse al luogotenente, sorridendo: "Tutto è stato eseguito ottimamente, e sono molto soddisfatto! Riprendete il vostro posto. Questi bacchettoni", disse fra sé, con allegria, "che pretendevano di censurare le mie operazioni, e criticavano che io ricevessi in casa mia della brava gente, meritavano davvero questo castigo". Il califfo, che l'osservava, indovinò il suo pensiero, e provò in sé un'indicibile gioia per quella spedizione così riuscita. Abu-Hassàn rivolgendosi poi al gran visir, gli disse: "Fatevi consegnare dal gran tesoriere una borsa con mille dinàr, e andate al quartiere dove ho mandato il luogotenente di polizia, e portatela alla madre di un certo Abu-Hassàn soprannominato il Crapulone; è ben conosciuto in tutto il quartiere sotto questo nome, e tutti potranno indicarvi la sua casa. Andate e tornate presto!". Il gran visir Giàafar si pose la mano sul capo, per dimostrare la sua prontezza nell'obbedire, e dopo essersi prostrato davanti al trono, uscì e andò dal gran tesoriere, che gli consegnò la borsa. La fece prendere da uno degli schiavi che lo accompagnavano e andò a portarla alla madre di Abu-Hassàn. La trovò e le disse che il califfo le mandava quel regalo, senza spiegarle altro. Ella lo ricevette con grande sorpresa, non potendo immaginare che cosa avesse spinto il califfo ad essere tanto generoso con lei, poiché non sapeva ciò che accadeva al palazzo. Durante l'assenza del gran visir, il luogotenente di polizia fece la sua relazione su molti affari che riguardavano il suo compito, e questa esposizione durò fino al ritorno del visir. Quando fu rientrato nella camera del consiglio, ed ebbe assicurato Abu-Hassàn di aver adempiuto al suo ordine, il capo degli eunuchi, Masrùr, che si era ritirato nell'interno del palazzo dopo aver accompagnato Abu-Hassàn fino al trono, ritornò e dimostrò con un cenno ai visir, agli emiri ed a tutti gli ufficiali che il consiglio era terminato e che ognuno poteva ritirarsi: il che fecero dopo aver preso congedo con un profondo inchino ai piedi del trono, nello stesso ordine con cui erano entrati. Non rimasero vicino ad Abu-Hassàn, se non gli ufficiali della guardia del califfo, ed il gran visir. Abu-Hassàn, senza rimanere oltre sul trono del califfo, discese nella maniera in cui era salito, cioè con l'aiuto di Masrùr e di un altro ufficiale degli eunuchi, che lo accompagnarono poi verso il suo appartamento: ma appena ebbe fatto pochi passi, fece capire che aveva una necessità urgente da soddisfare. Subito gli fu aperto un gabinetto molto pulito col pavimento di marmo, mentre l'appartamento in cui si trovava era coperto di ricchi tappeti. Gli furono presentate delle calzature di seta ricamate d'oro che, secondo l'etichetta, doveva mettersi prima di entrare. Lui le prese, e non sapendo che cosa farne, se le mise in una delle maniche, che erano molto larghe. Accade spesso che si rida più per una sciocchezza, che per qualche cosa di importanza, così poco mancò che il gran visir, Masrùr e tutti gli ufficiali del palazzo che gli stavano vicini, prorompessero in uno scoppio di risa e rovinassero tutto: ma si trattennero, ed il gran visir fu obbligato a spiegargli che doveva calzare le pantofole per entrare nel gabinetto di decenza. Mentre Abu-Hassàn stava nel gabinetto, il gran visir andò a raggiungere il califfo, il quale si era già appostato in un altro luogo per continuare a osservare Abu-Hassàn senza esser visto, e gli narrò quanto era accaduto: e il califfo si divertì molto. Abu-Hassàn uscì dal gabinetto, e Masrùr, camminandogli davanti per indicargli la strada, lo condusse nell'appartamento inferiore, dove era apparecchiata la tavola. La porta di accesso fu aperta, e molti eunuchi corsero ad avvisare i musici che il finto califfo era vicino. Subito cominciò un concerto di voci e di strumenti, il più melodioso che si possa immaginare, che procurò tanto piacere ad Abu-Hassàn, che ne fu rapito e non sapeva assolutamente che pensare di quanto vedeva e di quanto udiva. "Se questo è un sogno", diceva tra sé, "è un sogno che dura a lungo! Ma questo non è un sogno", continuava, "io sto bene, discorro, vedo, cammino, odo! Checché ne sia, mi rimetto al cielo per quanto mi sta capitando. Non posso credere però di non essere veramente il gran principe dei credenti. Vi è solo lui infatti che possa trovarsi nello splendore in cui sono. Gli onori e gli omaggi che mi furono e mi vengono tributati, gli ordini che ho emanato e che sono stati eseguiti sono una prova sufficiente." Abu-Hassàn insomma si convinse di essere il califfo e gran principe dei credenti: e ne restò ancora più persuaso quando si trovò in una sala magnifica e molto grande. L'oro frammischiato ai colori più vivi risplendeva da tutte le parti. Sette gruppi di deliziose cantanti, una più bella dell'altra, stavano tutt'intorno alla sala, e sette candelieri d'oro con sette braccia stavano appesi in diversi luoghi alle pareti, dove l'oro e l'azzurro, ingegnosamente disposti, producevano un mirabile effetto. Nel mezzo stava una tavola con sette grandi piatti d'oro massiccio, che spandevano per tutta la stanza l'odore delle spezie e dell'ambra, con cui le vivande erano condite. Sette fanciulle stavano in piedi, intorno alla mensa, tutte di mirabile bellezza, vestite con abiti di stoffe diverse molto ricche e dei più vaghi colori. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Ciascuna di esse teneva in mano un ventaglio, col quale facevano vento ad Abu-Hassàn, mentre stava a tavola. Se mai un uomo restò meravigliato, questi fu Abu-Hassàn quando entrò in quel magnifico salone. Ad ogni passo che faceva, non poteva fare a meno di fermarsi per contemplare a suo agio le meraviglie che si presentavano al suo sguardo. Si voltava a ogni momento da una parte o dall'altra con grandissimo divertimento del califfo, che l'osservava molto attentamente. Finalmente s'inoltrò fino nel mezzo, e si mise a tavola. Subito le sette belle dame che stavano intorno, agitarono in aria tutte insieme i loro ventagli, per rinfrescare il nuovo califfo. Lui le guardava una dopo l'altra, e ammirava la grazia con la quale adempivano al loro ufficio; poi con un bel sorriso disse che credeva che una sola fra loro bastasse per procurargli tutto il fresco di cui avrebbe avuto bisogno, e volle che le altre sei sedessero a tavola con lui, tre alla sua destra e le altre tre alla sua sinistra, per fargli compagnia. La tavola essendo rotonda, Abu-Hassàn le fece sedere tutte intorno affinché, da qualunque parte girasse lo sguardo, potesse vedere solo cose belle e molto piacevoli. Le sei dame obbedirono e si misero a tavola. Ma Abu-Hassàn in breve si accorse che non mangiavano per rispetto alla sua persona: allora le servì egli stesso, invitandole e incitandole a mangiare con parole cortesissime. Chiese loro anche come si chiamassero, e ognuna appagò la sua curiosità. I loro nomi erano: Collo di Alabastro, Bocca di Corallo, Volto di Luna, Splendore di Sole, Piacere degli Occhi, Delizia del Cuore. Fece pure la stessa domanda alla settima che teneva il ventaglio, ed essa gli rispose che si chiamava Canna da Zucchero. Le osservazioni gentili che fece ad ognuna sopra i loro nomi dimostrarono che aveva moltissimo spirito: e non si può dire quanto tale contegno servì ad accrescere la stima che il califfo aveva già di lui. Ad un tratto le dame videro che Abu-Hassàn non mangiava più. "Poiché il gran principe dei credenti", disse una voltandosi agli eunuchi che erano presenti per servire, "non mangia, può passare al salone delle frutta! Si porti dunque l'occorrente per lavarsi." E alzandosi nello stesso tempo tutte dalla tavola, presero dalle mani degli eunuchi, la prima un catino d'oro; l'altra una brocca dello stesso metallo; la terza un asciugamano, e si presentarono col ginocchio a terra davanti ad Abu-Hassàn, che stava ancora seduto porgendogli umilmente da lavarsi. Quando lo ebbe fatto, si alzò, e nello stesso istante un eunuco sollevò la tenda ed aprì la porta di un altro salone nel quale doveva entrare. Masrùr, che non aveva abbandonato Abu-Hassàn, s'incamminò davanti a lui e l'introdusse in un salone di grandezza uguale a quello dal quale usciva, ma ornato di dipinti dei più eccellenti pittori, e ben più ricco di vasi d'oro e d'argento, di tappeti per terra e di altre suppellettili preziose. C'erano in questo salone sette gruppi di cantanti, diverse da quelli che stavano nel primo salone; questi sette gruppi, o per dir meglio questi sette cori, cominciarono un nuovo concerto, non appena Abu-Hassàn comparve. Il salone era adorno di sette grandi specchi e la tavola nel mezzo era coperta di sette grandi vassoi d'oro in piramide ripieni di ogni sorta di frutta della stagione, e intorno stavano altre sette giovani, ognuna con un ventaglio in mano, che superavano le prime per bellezza. Questa nuova apparizione, immerse Abu-Hassàn in una meraviglia ancora maggiore di prima, e fermandosi, diede segni manifesti della sua sorpresa e del suo stupore. Giunse finalmente fino alla tavola, e quando si fu seduto, contemplò a suo agio le sette dame, l'una dopo l'altra, con un imbarazzo che dimostrava che non sapeva a quale dare la preferenza; poi ordinò loro di lasciare ognuna il proprio ventaglio, e di sedersi a tavola, per mangiare con lui, dicendo che il caldo non gli dava tanta noia da aver bisogno del loro aiuto. Quando le dame si furono sedute a destra ed a sinistra di Abu-Hassàn, egli volle prima di ogni altra cosa sapere come si chiamassero: seppe così che esse avevano nomi diversi da quelli delle sette dame del salone, e che questi nomi significavano pure qualche perfezione dell'animo o del corpo, per la quale si distinguevano le une dalle altre. Ciò gli piacque e lo dimostrò con le belle parole che disse anche in questa occasione, offrendo loro, l'una dopo l'altra, la frutta di ciascun vassoio. "Mangiate questo per amor mio", disse a Catena dei Cuori, che stava alla sua destra, porgendole un fico, "e rendete più sopportabili le catene con cui mi avete legato dal momento in cui vi ho vista." E offrendo una noce a Tormento dell'Anima, le disse: "Pigliate questa noce ma fate cessare tra breve i tormenti che soffro per amor vostro". E così successivamente fece complimenti alle altre dame. E così facendo egli dava al califfo, che continuava ad osservarlo, nuovi motivi per essere soddisfatto di aver trovato una persona che lo divertiva tanto e che gli aveva suggerito il mezzo per conoscerlo meglio. Quando Abu-Hassàn ebbe assaggiato tutti i frutti che erano nei vassoi, si alzò: e subito Masrùr che non l'abbandonava mai, s'incamminò davanti a lui, e l'introdusse in un terzo salone ancor più ornato e ricco dei due primi. Abu-Hassàn, vi trovò altri sette cori di musicanti, e sette altre dame intorno a una tavola, coperta di sette bacinelle d'oro differentemente lavorate, piene di succhi di frutta di diversi colori. Dopo aver girato lo sguardo da tutte le parti con nuova meraviglia, si avvicinò alla tavola, al suono armonioso dei sette cori, che terminò quando si fu seduto. Le sette dame si sedettero pure ai suoi fianchi per suo ordine, e poiché non poteva porger loro il cibo come aveva fatto con le altre, le pregò di scegliere ciascuna ciò che preferiva. S'informò dei loro nomi, che non gli piacquero meno dei nomi delle precedenti dame, per la loro varietà, e che gli fornirono argomento per intrattenersi con loro, e dire delle arguzie, che diedero a loro altrettanto piacere, che al califfo, che non perdeva una parola di quanto egli andava dicendo. Era ormai sera, quando Abu-Hassàn fu condotto nel quarto salone che era ornato come gli altri di suppellettili magnifiche e preziose. C'erano pure sette grandi specchi d'oro, circondati di candele accese, e tutto il salone era illuminato da una prodigiosa quantità di lumi, che formavano uno spettacolo meraviglioso e straordinario. Non c'era stato niente di simile negli altri tre saloni, poiché non ve n'era stato bisogno. Abu-Hassàn trovò in quest'ultimo salone, come già negli altri tre, sette nuovi gruppi di cantanti, che facevano, tutti insieme, un concerto più dolce e allegro che negli altri saloni, e che parevano ispirare maggior giubilo. Vi vide pure sette altre dame, che se ne stavano in piedi intorno a una tavola coperta ugualmente di sette vassoi d'oro, pieni di sfogliate, marmellate e ogni sorta di dolciumi atti a spingere a bere. Ma ciò che Abu-Hassàn osservò, e che non aveva visto negli altri saloni, era una credenza su cui erano sette grandi brocche d'argento, piene di un vino squisito e sette bicchieri di cristallo di rocca lavorati finemente. Fino a questo punto, cioè nei primi tre saloni, Abu-Hassàn non aveva bevuto che acqua, secondo il costume di moda a Bagdàd tanto tra il popolo, quanto alla corte del califfo, per cui non si beve il vino se non alla sera. Tutti quelli che si regolano in modo diverso, sono considerati dei dissoluti, e non hanno il coraggio di mostrarsi di giorno. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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